Economia keynesiana, corpo di idee esposte da John Maynard Keynes nella sua Teoria generale dell’occupazione, degli interessi e del denaro (1935-36) e altre opere, intese a fornire una base teorica per le politiche di piena occupazione del governo. Era la scuola dominante di macroeconomia e rappresentava l’approccio prevalente alla politica economica tra la maggior parte dei governi occidentali fino agli 1970.
Mentre alcuni economisti sostengono che la piena occupazione può essere ripristinata se i salari sono autorizzati a scendere a livelli più bassi, Keynesiani sostengono che le imprese non impiegheranno lavoratori per produrre beni che non possono essere venduti. Poiché credono che la disoccupazione derivi da una domanda insufficiente di beni e servizi, il keynesianismo è considerato una teoria “lato della domanda” che si concentra sulle fluttuazioni economiche a breve termine.
Keynes ha sostenuto che l’investimento, che risponde alle variazioni del tasso di interesse e alle aspettative sul futuro, è il fattore dinamico che determina il livello di attività economica. Ha anche sostenuto che un’azione deliberata del governo potrebbe favorire la piena occupazione. Gli economisti keynesiani sostengono che il governo può influenzare direttamente la domanda di beni e servizi modificando le politiche fiscali e la spesa pubblica.
A partire dal 1970, l’economia keynesiana fu eclissata nella sua influenza dal monetarismo, una scuola macroeconomica che sosteneva aumenti controllati dell’offerta di moneta come mezzo per mitigare le recessioni. Dopo la crisi finanziaria globale del 2007-08 e la conseguente Grande Recessione, l’interesse per i continui perfezionamenti teorici dell’economia keynesiana (il cosiddetto “nuovo keynesismo”) è aumentato, in parte perché le risposte keynesiane ispirate alla crisi, dove sono state adottate, si sono dimostrate ragionevolmente riuscite.